martedì 28 gennaio 2014

Il dolore nella religione e nel bdsm: delle curiose connessioni



Delle connessioni tra la spiritualità e bdsm se ne è già parlato qui. L'argomento però presta il destro a interessanti sviluppi e a connessioni più specifiche con le religioni.
Nella storia dell'umanità il dolore è stato un argomento cardine e trattato da ogni disciplina sia essa filosofica che religiosa. Sin dall'antichità l'uomo ha capito e si è interessato alla connessione esistente tra il dolore e il piacere ma diversi sono stati gli approcci a tale tematica come diverse le conclusioni delle varie scuole di pensiero.
Sin nell'antica Grecia il rapporto tra dolore e piacere fu oggetto di interesse tra i filosofi; dalla necessaria conoscenza dell'uno per poter aprrezzare l'altro, teorizzata da Eraclito, all'analisi di Socrate che vedeva un'indissolubile connessione tra il dolore e il piacere. Tale pensiero fu ripreso da Platone nel Fedone, riportando un pensiero di Socrate stesso: “Come sembra strana, o amici, questa cosa che gli uomini chiamano piacere; e come meravigliosamente si trova per natura in rapporto con quello che appare il suo contrario: il dolore! Questi contemporaneamente così non vogliono trovarsi insieme nell’uomo, ma d’altra parte, se una persona insegue e prende l’uno, presso a poco è sempre costretta a prendere anche l’altro, come se fossero attaccati ad una stessa cima, pur essendo due. E a me sembra”, disse, “che se Esopo avesse riflettuto su questo, avrebbe inventato una storia, [dicendo] che il dio volendo riconciliare questi in guerra, poiché non ci riusciva, legò fra loro i capi ad uno stesso punto, e per questo motivo, quando ad uno si presenta uno dei due, subito dopo viene dietro anche l’altro. Come appunto sembra [sia successo] anche a me, dopo che nella gamba c’era il dolore a causa della catena, sembra che venga, tenendo dietro, il piacere”. Altri filosofi greci (stoici ed epicurei ad esempio) in seguito torneranno sull'argomento, ponendo per lo più l'accento sul controllo dell'uomo sul dolore al fine di raggiungere il dominio di sé e uno stato di serenità denominato, a seconda delle scuole di pensiero aponia (assenza di dolore nel corpo), atarassia (assenza di turbamenti nell'animo) o apatia (assenza di passioni).
Il dominio del dolore e il raggiungimento dell'elevazione fu il fulcro del pensiero buddhista il quale  individuava come origine del dolore la presenza di passioni e desideri. Quindi il dolore non aveva un'origine divina ma nasceva all'interno dell'uomo e dalla sua ricerca della felicità attraverso ciò che è materiale e transitorio. Solo attraverso la meditazione e il nirvana è possibile abbandonare la vacuità della realtà ed elevarsi raggiungendo il nirhoda ovvero la cessazione del dolore.
Diversamente da molte altre religioni invece l'Islam non contempla il dolore (in arabo âlam) come un sentimento necessario all'elevazione spirituale né all'espiazione. Il dolore per l'Islam è solo un mezzo, ciò che ci avvisa di un pericolo, una malattia, una disfunzione e permette la sua individuazione e cura. Nel Corano il dolore non ha una funzione attraverso la quale raggiungere la redenzione né è stato dato all'umanità per la tribolazione (20ª1-8). La sopportazione dello stesso non serve all'espiazione né costituisce una via per il raggiungimento del Paradiso che invece viene attribuito per i meriti operati sulla terra attraverso le proprie azioni, lo sforzo (Jihad) di dominare e gestire le proprie passioni (45ª28: il giorno ultimo ogni comunità sarà convocata davanti al suo Libro: "Oggi sarete retribuiti per le vostre azioni. Quindi: Non per la vostra religione!"). Solo Dio ha il potere di redimere, non l'uomo attraverso la ricerca e la sopportazione della sofferenza.
Diametralmente opposto è invece il rapporto col dolore nel cristianesimo. Il dolore è indissolubilmente legato alla passione di Cristo, alla sua flagellazione prima e al martirio sulla croce poi. Nel cristianesimo l'accettazione supina del dolore è un ripercorrere il calvario di Cristo, da accettare con “gioia” (come affermato da Papa Francesco nella messa del maggio 2013 nella Casa Santa Marta) e condizione necessaria all'espiazione dei propri peccati per la conquista della redenzione ma anche atto da offrire con amore al Signore. Il concetto di espiazione e di dono della sofferenza si è sicuramente rafforzato dopo la venuta di Cristo ma è bene tener presente che rappresentava comunque un punto cardine già nell'Antico Testamento. Scrive Geremia: “Così mi ha detto il Signore: fatti delle catene e dei gioghi, e mettiteli sul collo” (Ger. 27, 2).
È quest'ultimo uno degli aspetti più interessanti che paradossalmente presenta punti in comune con certi modi di vivere il bdsm. Ciò che caratterizza numerosi rapporti D/s o 24/7 è, oltre l'appartenenza, la dedizione che il sottomesso/a riserva per il dominante caratterizzato da un percorso di evoluzione masochistica finalizzato al continuo superamento dei propri limiti per l'appagamento fisico e mentale del Padrone/a. La sofferenza a cui ci sottopone è quindi una sopportazione per il piacere del dominante che viene vissuta come un dono che si fa al dominante stesso. Ricorre infatti nel gergo bdsm il verbo “donarsi” come atto di abbandono nelle mani di chi esercita il potere sul sottomesso/a, quasi fosse un dono delle proprie sofferenze e prove al fine di creare un'unione tra le due parti in gioco che si completano attraverso il sadismo e il dolore sopportato. Molto spesso infatti si parla di tale unione come qualcosa di catartico e mistico che va ben oltre i canoni consueti dell'erotismo.
D'altro canto simili sono gli strumenti per il raggiungimento di tale finalità: dalle fruste, ai flagelli, ai cilici di corde, alla croce di Sant' Andrea (classica croce a X conosciuta anche come croce decussata utilizzata per il martirio dell'Apostolo e da lui stesso scelta). Tutti strumenti poi mutuati dal Bdsm.
Gli episodi di espiazione ed estasi mistica attraverso il dolore sono svariati e sono una costante del cristianesimo. I Flagellanti ad esempio furono un ordine cattolico dedito all'autoflagellazione pubblica in segno di penitenza, e la medesima tecnica du poi adoperata in seguito da altri ordini religiosi come i camaldolesi, i cluniacensi e i francescani.
Altri esempi di delirio mistico raggiunto attraverso il dolore possiamo rinvenirli in una dichiarazione forte di appartenenza di Santa Maria Alacoque la quale fu avvicinata da Cristo con le parole "lascia che ti usi a mio piacimento perché ogni cosa va fatta a suo tempo. Adesso voglio che tu sia l'oggetto del mio amore, abbandonata alle mie volontà senza resistenze da parte tua, in modo che possa godere di te". A fronte di tale passione non risulta difficile pensare con quanto trasporto i beati vivessero il dono dell'espiazione, spesso inseguita e cercata morbosamente. Si legge nell'autobiografia di Santa Guyon "arrivavo a possedere Gesù non nella maniera cosiddetta spirituale, attraverso il pensiero, ma in un modo così tangibile da sentire la partecipazione del corpo nella maniera più reale. Dopo tali peccati per mortificarmi il corpo leccavo gli sputi più schifosi, mettevo sassolini nelle scarpe, mi facevo cavare i denti anche se erano sani". 
Di fronte a tale letture non è difficile cogliere le connessioni con il masochismo tanto che il Dottor Murisier nel suo libro "Malattie del Sentimento Religioso" dimostra come "L'attaccamento dei mistici a Dio, a Gesù Cristo e alla Beata Vergine, sia impregnato di un amore estremamente sensuale".
Oviamente, come si è letto, il conseguimento della propria elevazione spirituale non passa eclusivamente attraverso il dolore fisico ma anche con la mortificazione dello spirito e l'umiliazione. Ad esempio nelle lamentazioni possiamo leggere: “Sieda costui solitario e resti in silenzio, poiché Egli glielo impone. Ponga nella polvere la bocca, forse c’è ancora speranza. Porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni” (Lam. 3,28-30). A ben leggere un'immagine nemmeno troppo lontana da un ipotetico scenario da sessione.
Ma ancora leggiamo in San Paolo in una lettera ai Corinzi: “(...) anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato” (1Co. 9,27).
Al di là di ogni stretta connessione tra il dolore e la religione, vi è chi ha teorizzato l'utilizzo del sofferenza non tanto per glorificare una divinità in particolare ma sicuramente come percorso mistico. Si tratta di Fakir Musafar un americano che ha mutuato il suo nome da un fachiro indiano vissuto nel XIX secolo che ha mortificato il suo corpo per 18 anni attarverso l'inserimento nel proprio corpo di lame e lance al fine di sondare i limiti del proprio corpo e della sua psiche.
Fakir divenne il capo spirituale del movimento dei Modern Primitives, la cui finalità era quella di esplorare il proprio corpo attraverso modificazioni corporali e mutilazioni riprese dalle ritualistiche delle popolazioni primitive con lo scopo di provare il dolore sulla propria pelle per evocare un'estasi mistica.  Per Fakir il nostro corpo è una creazione della natura che se lasciato nello stato originario cessa di essere una nostra proprietà e quindi solo attraverso il dolore e la manipolazione ci si può riappropriare di esso. Il pensiero di Musafar può essere riassunto nelle sue parole: "alle culture moderne sembra mancare un’intera parte di vita. Dilaga l’alienazione e la gente ha perso il contatto con le cose e con se stessa. Serve un rimedio, e il principio base può essere sintetizzato così: gioca con il tuo corpo e fanne ciò che vuoi. A mio avviso la gente ha un disperato bisogno di questi riti, ecco perché rinascono il piercing e il tatuaggio. In un modo o nell’altro, c’è bisogno di una cultura tribale". Ma la parte interessante è proprio quella che riguarda il raggiungimento dell'estasi proprio attraverso la manipolazione e il dolore. Fakir fu infatti uno dei primi teorizzatori del “subspace”, tema tanto caro nell'ambiente bdsm, ovvero una sorta di trance mistica raggiungibile attraverso il dolore e la mortificazione e pari per intensità a un'esperienza sciamanica.
Tale ritualistica è ancora oggi diffusa attraverso l'operato di alcuni gruppi, che hanno assunto la denominazione di "chiese" che continuano a operare modificazioni, sospensioni applicate direttamente sulla carne, prove di dolore e riti iniziatici per liberare il proprio corpo dagli orpelli terrenni e il raggiungimento di stati estatici attraverso la sofferenza (vedere a tale proposito Taboo su National Geographics che ha ripreso da vicino una di queste chiese statunitensi).